domenica 25 dicembre 2016

Ciao Nino, l'ultima uscita di scena



Ci sono momenti in cui ti viene spontaneo scrivere. Perché la vita è strana, incontri qualcuno, lo conosci, ne apprezzi la sua grandezza ed umiltà e quando vieni a sapere che quel qualcuno ha deciso di fare la più grande uscita di scena, prima che si chiuda il sipario, per di più la notte di Natale, è come se ti sentissi in dovere di dire qualcosa, di raccontare qualche atto, di ripercorrere la performance storica di una commedia vissuta tutta d’un fiato. Perché Nino è (la scelta del tempo verbale non è casuale) di quegli attori che sono in grado di interpretare diecimila parti, senza mai lasciar cadere l’unicità della sua persona.

Ricordo con un briciolo di emozione la prima commedia che vidi, credo che all’epoca non avessi spento neppure le dieci candeline. Il dialetto per un ragazzino non è mai facile da comprendere nelle sue più intriganti e irriverenti sfaccettature, ma agli occhi di chi ora scrive, sembrava la lingua internazionale per far ridere un pubblico attento a quella retorica. L’ultima opera invece, non aveva copione, ce la concedeva tra una risata, tanta umanità e la sua innata simpatia, due volte a settimana in palestra, perché per lui far ridere e sorridere con garbo è sempre stato un dono di natura.

Nel mezzo potremmo parlare di opere, interpretazioni, di scritti e palcoscenici. Attestati di stima, riconoscimenti, e chi più ne ha più ne metta. Ma Nino è stato qualcosa di più. Sì, perché non tutti hanno l’onore e il privilegio di interpretare la vita di una comunità e di viverla con una passione che Nino non metteva solo sul palcoscenico o dietro le quinte, ma in ogni cosa che faceva. Grande uomo e maestro di vita, scriveva qualcuno, e come dargli torto.

Tra l’altro, penso di poter affermare con pochissimi dubbi che fosse il fondano di fede calcistica sampdoriana più longevo. E quando hai la fortuna di viverle, seppur a mozzichi, certe persone, hai il privilegio di ascoltare delle cose che somigliano a poesia, ma che poi scopri essere vita vissuta. Mi confidò, solo qualche settimana fa, da blucerchiato a blucerchiato come era nata la sua fede calcistica, in un giorno di un’Italia post bellica, in cui i ragazzi ancora giocavano per le strade con i palloni fatti di pezza. La casualità aveva voluto che mentre le altre squadre di coetanei si davano il nome delle grandi della serie A, qualcuno ritenendo la sua più scarsa, aveva preso il giornale e scorrendo la classifica, aveva individuato quella Sampdoria ultima in graduatoria come il giusto nome. Da lì la Samp era entrata nel suo cuore, come difficilmente Nino usciva da quello delle persone che incontrava. 

Ogni parola, ogni frase, qualsiasi cosa gli uscisse dalla bocca aveva un senso di così teatrale e così normale. Tanto che a ragione, in molti sostengono che se al posto che a Fondi fosse vissuto a Roma, il nome di Nino Canale avrebbe capeggiato sul palcoscenico nazionale. Ma a Nino ciò non è mai importato, per lui il teatro era la vita e la vita per lui era in questa piccola porzione di mondo.



Il problema è che anche lo spettacolo più entusiasmante o la commedia più esilarante, hanno un’uscita di scena dell’attore principale. Ma forse, come altre volte, come sempre, questo è solo il momento dell’applauso, quello che Nino si merita. Perché c’è chi attraversa, chi passa e chi rimane nella vita e nella storia delle persone e di una comunità , e non credo ci siano categorie tranne l’ultima, a cui Nino possa appartenere.