venerdì 16 dicembre 2016

Verso quale legge elettorale

Come ben sapevamo, in caso di esito negativo dal referendum costituzionale del 4 dicembre, ci saremmo ritrovati con un sistema elettorale zoppo. Ad oggi, due Camere praticamente identiche dovrebbero essere elette con un sistema proporzionale puro al Senato (Consultellum) e con un maggioritario di lista alla Camera con un eventuale doppio turno, ad oggi inutile, (Italicum). Sistema quest’ultimo su cui pesa l’attesa del pronunciamento della Consulta.

Per tale motivo, il Presidente della Repubblica Mattarella ha espresso l’intenzione che il nuovo governo Gentiloni si occupi anche della nuova normativa elettorale. Proprio su questo tema si è pronunciato, seppur non esplicitamente lo stesso premier, non definendo se sarà l’esecutivo o il Parlamento ad occuparsene.

La verità è che il campo minato dei rapporti fuori la maggioranza parlamentare che sostiene il nuovo esecutivo mostra una pseudo intesa sui contenuti solo tra il Movimento Cinque Stelle e una parte del Partito Democratico, quella più liberale e moderata capeggiata da Matteo Renzi e che vedrebbe in un correttivo dell’ Italicum anche al Senato la strada da seguire. Ovvio che qualcuno torni a parlare di Mattarellum (forse, il condizionale è d’obbligo, uno dei migliori sistemi elettorali avuti in Italia). Più scontato ancora è che si parli di un ritorno (come se dal 2005 se ne fosse mai andato) del proporzionale, possibilmente di coalizione. Una strada che forse è la più percorribile, perché riporterebbe il Parlamento al centro del sistema istituzionale e troverebbe diversi partiti pronti a dialogare per pensare a dei correttivi in grado di fare di un sistema da Prima Repubblica, il giusto meccanismo che possa guardare alla Terza, seppur viziato dall’ennesimo fallimento di un cambio della Seconda Parte della Costituzione.

Partendo dall’assunto della famosa sentenza della Corte Costituzionale che di fatto trasformava il Porcellum in Consultellum, dobbiamo immaginare con qualsiasi sistema elettorale si tornerà al voto, verranno reintrodotte le preferenze e che ora più che mai, l’eventuale premio di maggioranza non deve essere eccessivamente sproporzionato rispetto al possibile peso elettorale di una lista o coalizione. La verità è che non si può pensare ad un nuovo sistema senza guardare all’evoluzione normativa e politica degli ultimi trent’anni. Come non si può far finta che il così detto combinato disposto della Riforma Costiituzionale Renzi-Boschi e dell’Italicum non sia stato bocciato dall’elettorato. 

Sulla base di ciò bisogna trovare una maggioranza, possibilmente più ampia di quella chiusa all’interno dell’area di governo, per riscrivere le regole del gioco. E bisogna farlo già da ora senza attendere il pronunciamento della Consulta sull’Italicum previsto per fine gennaio. Per fare ciò bisogna aprirsi ad un sistema elettorale proporzionale che garantisca il pluralismo e la presenza di almeno tre grandi competitor (poli), limitando l’accesso dei partitini e possibilmente agevolando chi vince a tentare di poter governare, senza il rischio all’indomani del voto di ritrovarsi senza una maggioranza da dover ricercare a suon di consultazioni e tentativi di mandati esplorativi. Il sistema proporzionale, ovviamente se agganciato ad una corsa per coalizioni potrebbe riprendere quell’assetto politico scaturito prima, e poi in parte rivoluzionato dallo stesso Porcellum. Ma è ovvio che il “premio” vada ponderato per evitare sproporzioni che potrebbero nuovamente essere definite incostituzionali. Si potrebbero pertanto riprendere dei “paletti” imposti dall’Italicum: tipo la soglia del 40%, sotto la quale nessuno schieramento può pretendere di avere la maggioranza in termini di seggi. O magari alzare questa soglia addirittura al 45%, pur nella consapevolezza che difficilmente al momento ci sia uno schieramento in grado di poterci arrivare. Inoltre va introdotta una percentuale che garantisca una maggioranza minima in termini di seggi (effettivamente il 55% può apparire eccessivo). Anche la questione degli sbarramenti va rivista. Personalmente credo sia opportuno che l’apparentamento per coalizioni venga letto solo in chiave “governativa” e non sistemica. Nel senso che è inutile prevedere soglie (come nel Porcellum) per partiti coalizzati o non coalizzati. Un 4-5% di lista sarebbe un buon margine di rappresentanza elettorale che garantisca la presenza in Parlamento. Il 5%, seppur più selettivo, potrebbe diventare un margine di trattativa per i partiti più piccoli. Sempre per una lettura sistemica ed oggettiva, bisognerebbe evitare di scendere al di sotto del 4%.

Altro problema rimane il Senato e la questione della ripartizione regionale come previsto dalla Costituzione. Perché tale assegnazione aveva creato con il Porcellum quell’assurda lotteria dei premi di maggioranza regione per regione facendo venir meno il senso dell’individuazione del capo coalizione qualora (come accaduto nel 2013) nella seconda Camera non si riuscisse a generare una maggioranza analoga a quella di Montecitorio che ha una base nazionale, seppur divisa per circoscrizioni. Avendo il Senato già un elettorato attivo e passivo differenziato rispetto a quello della Camera, forse si dovrebbe valutare se costituzionalmente si potrebbe replicare un proporzionale meno inclusivo rispetto al Quoziente Intero previsto dal Porcellum (con metodo D’Hondt su entrambe i rami del Parlamento) con lo stesso premio su base nazionale, salvo prevedere una ripartizione territoriale di tipo regionale per quanto riguarda le elezioni a Palazzo Madama.

Non si avrebbe la certezza di sapere la sera dello spoglio quale sia la maggioranza che sosterrà l’esecutivo. Ma si garantirebbe una rappresentanza vera e diretta da parte dei cittadini, che facendo salvo il principio dei sistemi parlamentari, al quale noi costituzionalmente apparteniamo, delegherebbe direttamente alle forze politiche, ove non in grado di uscire con una maggioranza assoluta di seggi dal responso delle urne, almeno la possibilità di ampliare la maggioranza in Parlamento. Un’apertura alle larghe intese? Potrebbe essere, ma non c’è altro modo in questo momento storico, politico e partitico per salvaguardare rappresentanza e volontà dei cittadini, che dovrebbero essere le linee guida per chi si trova a dover riscrivere le regole del gioco.