lunedì 5 febbraio 2018

Occhio ai sondaggi, ricordando che non sono voti

Pubblicato in POST-IT

di Simone Nardone

Come accade prima di ogni tornata elettorale, anche in questo periodo, a farla da padrone sono i sondaggi. C’è il consueto partito in crescita, quello in calo, la coalizione che vola verso il premio di maggioranza e lo schieramento che deve superare lo sbarramento per riuscire ad entrare in Parlamento. Questa volta, però, in chiave elezioni Politiche, si somma anche la questione dei collegi uninominali. Ma bisogna ricordare, come se ce ne fosse ancora bisogno, che non sempre i sondaggi si trasformano in modo speculare in seggi.

In realtà, nel recente passato, abbiamo osservato come queste analisi hanno spesso “tradito” le attese, notando come all’indomani dello spoglio, il risultato emerso dalle urne non sempre è stato simile a quello disegnato dalle agenzie di ricerca. Il consiglio è di stare attenti e di prendere i numeri dei sondaggi con le pinze. Il consiglio va rivolto agli elettori, che per curiosità è giusto che consultino questi strumenti senza lasciarsi da essi influenzare. Ma va rivolto anche a dirigenti di partito e strateghi di campagne elettorali. Perché? Perché mai come in questa tornata troppi meccanismi vanno ad inserirsi nella psicologia elettorale.


Se da una parte è vero che ogni elettore, il 4 marzo prossimo, avrà per le mani un solo voto per scheda, e che questo può essere espresso – com’era per il Porcellum – barrando il simbolo del partito che sente più vicino ad esso, è altrettanto vero che non bisogna dimenticare la novità dei collegi uninominali. Bisogna stare attenti ad immaginare la partita nell’uninominale e quella del proporzionale come due sfide su due piani diversi. Perché l’elettore ha un solo voto da dover assegnare e non esiste l’ipotesi del disgiunto. Questo porterà ogni persona nel seggio a valutare – ove la propria linea politica non sia lineare tra l’esponente politico candidato nel seggio uninominale e la vicinanza al partito di riferimento e dunque al leader che vorrebbe vedere a Palazzo Chigi – e a fare delle valutazioni non per forza scontate, dovendo predilegere il voto al partito o quello al candidato nel collegio, considerando che tale preferenza non potrà essere scissa. Se a tutto questo andiamo a sommare l’incertezza degli scenari post voto, dove non è da escludere che nessuno dei leader in campo sia in grado di formare un governo sostenuto da una maggioranza politica, il gioco è fatto.

Dunque bisogna stare attenti a valutare il peso elettorale di partiti e coalizioni, basandosi su esperienze elettorali pregresse o su analisi e sondaggi parziali, perché potrebbe essere fuorviante. Attenzione a pensare che l’espressione di voto sia basata solo su un concetto di “rappresentanza politica” intesa come “mi rivedo in quel partito, dunque barro quel simbolo”, perché con il ritorno – seppur parziale – del maggioritario con i collegi uninominali potremmo sorprenderci di quanto questi candidati sul territorio guadagnino o perdano consensi, che potrebbero essere fondamentali a spostare voti, e dunque seggi, che a loro volta potrebbero essere determinanti, o meno, alla formazione o meno di una maggioranza politica di governo.