Centrosinistra “largo”, partito maggioritario o forza ulivista? Con tutti questi slogan il Partito Democratico sembra prepararsi alla sua costituente più che al congresso che dovrebbe condurlo ad elezioni, tra l’altro essendo stati al governo per quattro anni.
Molti elettori sono arrabbiati con i Dem, perché sostengono che il partito si sia arenato in beghe interne ed individualismi, dimenticandosi delle vere ricette politiche, che divengono il cuore dei programmi elettorali e dell’azione di governo. Il problema è in parte diverso, perché quella questione di cui si parla tanto in queste ore, ovvero di “alleanze”, è un nocciolo di cui teoricamente si esula in un normale quadro politico, dove a fare la differenza è sì lo spostamento del baricentro in base all’azione della sua segreteria, ma mai o quasi mai, viene messa in discussione la vocazione di un partito.
Renzi e Orlando, che al momento appaiono i due competitor più rilevanti, invece, differiscono proprio sulla mission del partito: l’idea maggioritaria veltroniana nel dna di Renzi, centrosinistra ampio richiamante all’esperienza ulivista per Orlando.
La domanda che sorge spontanea diventa: cos’è un congresso e cosa sono le primarie? Perché rischiano di rimanere solo legittimazione di una forza politica che i partiti non hanno più, sempre meno radicati sul territorio. Seppur il Partito Democratico rimane l’attore protagonista di un sistema politico in continua evoluzione e costantemente indebolito da frammentazione e riunificazione. Ma sono passati ben dieci anni dalla nascita del PD. Dieci anni di insofferenze e mediazioni estreme, di figuracce politiche diventate poi linea dura, dalla scissione al congresso. Tutto senza rendersi conto se al di là delle ovvie differenze, al proprio interno almeno orientativamente la si pensa alla stesso modo. Dopo tutto non credo serva un veggente per rendersi conto che l’esperienza del “centrosinistra ampio” richiama sì alla festa delle prime primarie di coalizione che portò alle politiche del 2006, ma ricorda anche la tragica esperienza del governo Prodi che seguì quella consultazione, la miriade di partitini e il governo più numeroso della storia repubblicana. Dall’altra la vocazione maggioritaria invocata da Renzi, accarezza il ricordo delle elezioni politiche del 2008, di quella netta sconfitta che conduce fino al 2013, con la non vittoria elettorale e l’obbligo di ampliare la base della maggioranza, lasciandosi andare alle larghe intese.
Della serie, che se ne discuta o meno, sembra che parliamo comunque di masochismo. La storia politico-elettorale di questo PD ci dice che al di là delle domande congressuali che vengono poste e di conseguenza delle risposte che iscritti e simpatizzanti provino a dare, alla fine dei conti, bisogna decidere se governare poco, ma a sinistra, o di più ma guardando a destra. E in entrambi i casi, il rischio è di non essere capiti.