venerdì 15 aprile 2016

Referendum trivelle, chiariamoci


Sono sincero con me stesso e chi con chi ha il coraggio di leggermi. Mancano solo due giorni al referendum del 17 aprile sulle trivelle e forse mai come questa volta non ho ancora deciso come esprimerò il mio voto. A poco è servito informarmi e studiare a fondo la questione. O meglio, è servito a molto, perché ne ho capito di più di quello che i media a mozzichi e la politica in pillole ci hanno fatto capire. Malgrado ciò non è facile decidere su un quesito referendario che è stato fatto passare per tutto, fuorché per quello che è: una vicenda tecnica, forse troppo tecnica; e non etica o ambientale, anche perché altrimenti non avrei avuto dubbi.

. In questo senso bisogna realmente ammettere che il comitato per il Sì ha sfruttato bene le carte a proprio favore, giocando quella della questione etica sulle energie rinnovabili. In realtà però, in pochi sottolineano che il referendum non fa riferimento alla questione delle così dette energie pulite, ma per di più non è contro la trivellazione in mare per la ricerca di idrocarburi, perché malgrado lo “Sblocca Italia” non era proprio la carta delle energie pulite, l’intervento normativo nella legge di stabilità del 2015 ha fatto decadere 5 dei 6 quesiti referendari richiesti da 9 Regioni (Puglia, Basilicata, Veneto, Marche, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise), facendone sopravvivere solo uno, quello su cui saremo chiamati ad esprimerci domenica. Un quesito tecnico che ci chiede se vogliamo abrogare la norma che prevede si possa continuare ad estrarre idrocarburi nelle acque italiane entro i 22 chilometri dalla costa dalle piattaforme esistenti al termine delle concessioni, anche se i giacimenti ancora non sono esauriti. Dunque, nessuna nuova piattaforma che può essere istallata dai 22 chilometri dalla costa, ma nessuna particolare restrizione per quelle che sono poste ora. In più, se la posizione del Sì dovesse vincere, non è che all’indomani andiamo e chiudiamo le piattaforme, ma verranno smantellate a fine concessione senza la possibilità di ulteriori proroghe. Ancora, se passa il Sì, non è che il circa 4% del nostro fabbisogno di gas e circa l’1% di petrolio, che proviene da questi pozzi entro le 12 miglia, saranno riconvertite ad energia pulita, ma probabilmente verranno acquistate dall’estero. Oltre il danno la beffa, considerando che circa l’80% di queste piattaforme vede come azionista di maggioranza Eni, che è la compagnia di Stato italiana.

No. Non ci sto però, a sentir parlare che il nostro Paese è all’avanguardia nelle energie rinnovabili solo perché ha raggiunto con tre anni di anticipo il risultato prefissato del 17% di energia prodotta da fonti rinnovabili. Non ci sto, se poi basta cercare delle statistiche on-line per scoprire che i Paesi all’avanguardia sono per esempio Islanda, Svezia e Norvegia che ricavano dalle rinnovabili più del 50%. Non posso tollerare le posizioni di chi è per il NO, per una questione di principio. Sì, proprio di principio, perché non può esistere nessun tipo di contratto pubblico che si protrae a tempo indeterminato. È fuori da ogni concezione di cosa pubblica che si rispetti, nonché un regalo, (seppur contenuto come spesso sono contenuti i giacimenti nelle nostre aree), che non posso tollerarlo neppure se a beneficiarne è principalmente un’azienda che ha come principale azionista lo Stato stesso. 

Infine, e di questo sono fermamente convinto, che andrò a votare. Perché per quanto e vero che questo referendum forse può anche essere non opportuno, o per meglio dire, essendo tecnico doveva essere risolto dal legislatore e non chiamare l’intero popolo italiano a votare, è altrettanto vero che la campagna dell’astensionismo è di dubbia utilità al sistema politico. In un periodo in cui l’astensione la fa da padrona alle tornate elettorali ad ogni livello e i movimenti qualunquisti professano la democrazia diretta si discute sulla legittimità dell’astensione. Una follia. È ovvio che astenersi è sempre legittimo, specie ai referendum dove i padri costituenti hanno deciso di introdurre il quorum al 50% dell’affluenza. Ma è altrettanto vero che il voto oltre ad essere un diritto è un dovere civico e per quanto può essere difficile informarsi, discernere e persino prendere una posizione, da cittadini siamo chiamati sempre a questo. Poi libertà massima a chiunque. Sempre meglio un astenuto informato e consapevole che un Sì o un No, dato senza cognizione di causa, o peggio ancora, strumentalizzato.