La realtà si incontra con la fantasia, il sogno con la concretezza, il dubbio solo con l’incertezza. Un’incertezza che ci fa domandare: chissà se è andata così…
Era un tedioso primo pomeriggio di uno strano giovedì infrasettimanale di campionato. Il freddo sferzante del canalone di Campodimele, portava con sé il gelo della neve che colorava le cime delle montagne. La pioggerellina umida, sottile, che tinteggiava d’opaco il rettangolo verde dello stadio di Fondi, somigliava alla foschia della Milano invernale. E dall’ombra della madonnina, ecco che dinanzi alle tribune fredde, confondendosi tra la folla non pervenuta del grande pubblico del Purificato, appariva un uomo che la Milano calcistica l’ha fatta grande: Paolo Maldini.
La folla impazziva, così l’esplosivo e colorito pubblico locale, scavalcava i flash dei paparazzi, trasformando ogni smartphone e dispositivo elettronico nella propria reflex, pronta ad immortalare il volto sorridente del genitore, venuto al sud per vedere il figlio d’arte calpestare l’erba altisonante del campo del Racing Fondi.
Quarantacinque minuti di sofferenza dopo, ecco che la storia si ripete: tra cordoni di fans e ragazze pon pon vestite di cappotti e colbacchi, nella calorosa e illustre tribuna vip di via Arnale Rosso, l’ex numero 3 rossonero, alzandosi dalla comoda poltrona, si faceva largo tra un bambino che affermava di tifare Inter, un paio di giornalisti locali che incredibilmente si definivano blucerchiati e qualche imperterrito e timido tifoso esclusivamente dei colori della propria città.
Mentre l’ex difensore provava a scendere velocemente le scale per adempiere ai propri bisogni, dribblando paparazzi improvvisati e milanisti più o meno datati, ecco che un tifoso rossoblu, guardando profondamente il celebre capitano del Milan, dimenticandosi che non era l’amico di una vita, provava a renderlo all’istante cittadino onorario: “Ohi Pa’, ma second’ te ce la facem a venc’ sta partit?”
Lui, Maldini, si guardava attorno, in silenzio. L’espressione sul suo volto era di quelle interdette; probabilmente temendo d’essere capitato in una colonia ostrogota, sgusciava via dalla situazione e dalla domanda, senza far notare di non aver capito nulla. Quando un altro gli dava una pacca sulla spalla per dirgli: “Pa’, c’hamm magnat dui gol, hai vist?”, il Paolo nazionale, lontano da occhi indiscreti, si trasformava nel superman calabrese; il Clark Kent di Cosenza faceva comparire una divisa bianca sotto il cappotto ed entrando in campo, metteva a segno il gol vittoria per gli ospiti.
Lui, Maldini, si guardava attorno, in silenzio. L’espressione sul suo volto era di quelle interdette; probabilmente temendo d’essere capitato in una colonia ostrogota, sgusciava via dalla situazione e dalla domanda, senza far notare di non aver capito nulla. Quando un altro gli dava una pacca sulla spalla per dirgli: “Pa’, c’hamm magnat dui gol, hai vist?”, il Paolo nazionale, lontano da occhi indiscreti, si trasformava nel superman calabrese; il Clark Kent di Cosenza faceva comparire una divisa bianca sotto il cappotto ed entrando in campo, metteva a segno il gol vittoria per gli ospiti.
Dopo il triplice fischio finale, mentre il pubblico inveiva con l’arbitro, tra frasi semi incomprensibili e foto finali, Maldini usciva dallo stadio senza che nessuno si fosse accorto dei suoi super poteri, e, neppure di quelli del dialetto fondano. Ma chissà se in fondo è andata davvero così…