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giovedì 25 gennaio 2024
LA CORSA DELLA VITA
Io gli avrei dato qualche integratore, uno smartwatch che fosse in grado di controllare i battiti cardiaci e soprattutto gli avrei consigliato una visita da un medico dello sport. Oggi, infondo, lo chiedono a tutti il certificato per fare attività fisica. E poi vai a vedere che poteva succedere ugualmente.
Me li immagino, gli antichi Greci parlare in questo modo, ai giorni nostri, in una piazza di Atene su come si sarebbero presi cura del povero Filippide.
Molti neppure ricordano il mito del suo nome, lui che, secondo la leggenda, corse per circa 40 chilometri solo per pronunciare una frase di vittoria.
Era il 490 a.C., o giù di lì, e quel giovane uomo voleva recapitare quel messaggio nell’unico modo che sapeva fare: correndo. Era abituato a farlo nel più breve tempo possibile ed era solito non perdere tempo e non guardare le distanze: Filippide era un po’ un rider dell’antica Grecia.
La storia, ma ancor più il mito e la leggenda, vogliono che per annunciare la vittoria degli ateniesi sui persiani, si avviò da Maratona verso la capitale ellenica solo per dire: “Abbiamo vinto!” e poi morì per lo sforzo.
Oggi, la corsa per eccellenza delle olimpiadi, e probabilmente la più grande prova dell’atletica per resistenza, porta il nome di quel fatto che neppure chi narra è in grado di dirvi se corrisponde al vero o al mito. Ma solo l’ipotesi che ciò possa essere accaduto, dovrebbe aiutare a ricordare che non esistono sicurezze in uno sforzo sovraumano.
Ogni volta, ogni maratoneta, prima di iniziare a correre, dovrebbe volgere lo sguardo a Filippide e rendergli omaggio per almeno 60 secondi. Che sia in memoria, o per consueta fiducia in qualcosa che possa essere accaduto, merita comunque la stima e l’attenzione di chi oggi si prepara meticolosamente per quella distanza, con ben due millenni e mezzo di allenamento ed evoluzione.
Simone Nardone
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