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giovedì 18 gennaio 2024
GLI OCCHI DI FUOCO
Io c'ero, o chissà, forse no. Eppure lo vedo, come fosse ieri, qui, scritto a pagina 1 del libro dell'umanità.
Era un giorno grigio, discretamente freddo, ma non era piovuto da giorni. Le mani erano segate della temperatura rigida e secca di una tundra poco abitata.
Non ricordo, qual era quell'angolo di mondo così poco abitato dall'uomo e allo stesso tempo così pieno di vita. Ma ciò che più rammento, erano i suoni in quella luce ovattata qualche attimo dopo il tramonto, quando gli occhi accompagnano via il sole mentre si adattano all'oscurità.
Lo sbattere in modo graffiante e lo strusciare come se qualcuno volesse avvitare un ramo nell'anima della Terra era uno dei rumori più insiti nella novità di un mondo fatto di natura e poche paure.
Era il suono prodotto da chi voleva governare il fuoco, anzi, di chi voleva scoprirlo. Dopotutto, le fiamme e il calore, sia l'uomo che gli animali le conoscevano bene, ma chi aveva mai pensato di generarlo? Lei sì, ed era tanto tempo che voleva non solo crearlo, ma alimentarlo e replicarlo.
Quella donna, di cui non ricordo se avesse un nome, e il cui volto, nel mio ricordo è discretamente sfocato quasi fosse una bambina, in quel giorno cupo, usava pietre, legnetti e bastoncini per grattare, girare, sbattere e alimentare.
Aveva capito tanto tempo prima che soffiando e sfregando il legno, più ancora della pietra, questo si scaldava. Il vento, dopo un fulmine, le aveva suggerito che non c'era fuoco senza aria. Per questo la donna, che da sempre è perspicace più dell'uomo, aveva preso appunti nella sua mente e stava provando in tutti i modi ad ottenere il suo successo.
Sfregando, tanto quanto bastava a rovinarsi le mani, iniziava a venire su qualche sbuffo di fumo.
Il soffio che le usciva dalla bocca era la magia che dava vita.
La fiamma emergeva rigorosa, cresceva tra le foglie con cui aveva accompagnato quel momento unico per lei, e determinante nella storia dell’umanità.
Di quel momento ho un ricordo nitido e statico, ma soprattutto, non dimenticherò mai quegli occhioni grandi e lucidi, cristallo dell’anima inondata di stupore.
Simone Nardone