L’elezione dei giudici della Consulta ha aperto scenari ancora una volta inediti. In un sistema in cui i partiti sono sempre più fluidi, sta divenendo ovvio contare maggioranze parlamentari come fossero caramelle.
È uscito in questi giorni il mio libro “Dal Porcellum alla Terza Repubblica”, un’analisi sull’evoluzione del sistema politico italiano e su come sia cambiato negli ultimi dieci anni, alla luce della legislazione elettorale. Nel mio lavoro ho avuto modo di parlare di governi e maggioranze tra la più disparate, ma sempre abbastanza chiare, delineate, definite.
Nei giorni scorsi, dopo l’elezione dei giudici della Corte Costituzionale, invece, ho avuto per un attimo una piccola crisi d’identità. Sì, il primo impatto è stato: “Ma questa è un’altra maggioranza inedita!”
Poi ho cercato con discreta velocità e notevole difficoltà, di scorrere gli esecutivi del periodo repubblicano, provando un senso di rassicurazione ricordando le prime esperienze esecutive e parlamentari del secondo dopoguerra. Ho percepito il senso della grande coalizione alla tedesca passando per gli anni ’70 e ’80, e ho persino avvertito lo scoramento del clima da referendum della Seconda Repubblica, ma mai credo si sia visto un governo tanto camaleontico come quello di adesso. Ha cambiato più maggioranze l’esecutivo Renzi che alleati il Pd in tutta la sua storia politica.
Oggi, sarebbe persino difficile spiegare in due parole ad uno straniero quale sia per gradi linee la maggioranza e l’opposizione in Parlamento.
Ad una più attenta analisi, però, allo stato attuale delle cose, si potrebbe riassumere l’esperienza del governo Renzi, come un esecutivo di centro lievemente spostato a sinistra, capace di trovare accordi in Parlamento persino con i due grandi schieramenti che siedono all’opposizione: Forza Italia prima, Movimento Cinque Stelle ora. Il paradosso è che così si accontentano più o meno tutti: passi per la sinistra più radicale e per la destra meno governativa, nel messaggio renziamo fatto anche di maggioranze parlamentari e accordi politici, ci sono i delusi dalla mancata rivoluzione liberale, ma anche i cattolici, i laici, gli istituzionalisti e i populisti antisistema. C’è di tutto un po’, con l’ovvia riflessione e la triste constatazione che i partiti non esistono, arricchendo il bacino elettorale e la forza mediatica dei soli leader.
Dunque, che bisogno c’è del Partito della Nazione, se abbiamo la nazione del partito? Un “partito” pronto a cambiare colore o pelle all’occorrenza. Un soggetto che somiglia più a un camaleonte e che dunque sta bene su tutto, riuscendo persino a ritrovarsi a suo agio persino in situazioni imbarazzanti. Il problema principale, è che abbiamo accennato a Renzi e al Pd, ben sapendo che tutti i principali partiti sullo scacchiere in quest’epoca sono camaleontici. Una volta cambiavano colore della pelle, ma il contenuto rimaneva lo stesso. Oggi i partiti e i loro leader cambiano colore per sport, quasi che il mimetizzarsi da arma di difesa sia divenuta strumento di strategia politico-elettorale.