Premesso che l’opinione pubblica preme sugli Enti
regionali alla stessa stregua di come fa lo Stato nella razionalizzazione della
spesa pubblica verso tutti gli Enti locali.
Premesso che “15
– Regioni – sono finite sotto inchiesta,
494 sono stati i consiglieri coinvolti, quasi 60 milioni di euro la cifra sulla
quale i magistrati stanno ancora indagando” e che per una norma che ci è
stata fatta passare come “transitoria”
al momento non si aboliscono le Provincie, ma le si svuota solo del valore
politico dal punto di vista rappresentativo.
Premesso che Roma ha bisogno di trovare una
propria autonomia amministrativa che la proietti verso la concezione dell’area
metropolitana di Roma Capitale, che alcune Regioni sono territorialmente e
demograficamente sproporzionate rispetto ad altre e che l’articolo 131 della
Costituzione italiana andrebbe rivisto. Premesso tutto questo, forse le
conclusioni appaiono abbastanza affrettate.
Ci
si stupisce come ogni qual volta che si deve razionalizzare, ovvero “rendere
qualcosa conforme a criteri di razionalità
e di funzionalità”, (come da vocabolario) si rischia di
rimanere proiettati sul secondo aspetto, a volte tralasciando il primo.
Campanilisticamente
parlando, noto una difficoltà storica e
culturale non di poco conto tra coloro - quasi al confine tra Lazio e
Campania – che mai si sono trovati più
proiettati verso l’area partenopea rispetto a quella della capitale italiana;
territori, da sempre al confine fin dai tempi del Regno Borbonico e Stato Pontificio.
Escludendo un presunto meno traumatico “scorporamento” dell’attuale
composizione geografica dell’area più sud della Provincia di Latina, certo non
si può dire lo stesso dell’area pontina e di quella ciociara. Al che verrebbe da domandarsi cosa hanno in comune,
da un punto di vista di politiche sanitarie, sociali piuttosto che dei
trasporti un cittadino di Anagni con uno di Nola, o uno di Sabaudia con uno di Peastum
perché saranno chiamati a giudicarle insieme nel rinnovo delle cariche
regionali e i loro rappresentanti a valutarle nel complesso nel caso che il ddl Morassut-Ranucci vada in porto.
Se
si allontana la lente d’ingrandimento dal proprio naso e si guarda la bozza
dalla cartina, invece, si nota come - territorio
di Roma a parte - è stato attuato una sorta di ridimensionamento
territoriale e una “sforbiciata”
numerica al numero delle Regioni che da
20 passerebbero a 12. Ancor più dubbio il criterio di non seguire una
logica di vero ridisegno della struttura politico-geografica (anche se a mio parere non si dovrebbe
insistere sulle Regioni, salvo un precedente o integrativo provvedimento di
abolizione definitiva degli organi provinciali), salvo aggregare a
precedenti strutture regionali, provincie spacchettate altrove o altre regioni
troppo piccole per sopravvivere a questa idea di semplificazione.
Della
serie, forse, prima di mettere mano all’impianto delle Regioni, ci sarebbe da
domandarsi: è l’istituzione regionale in
senso stretto il problema? Difficile credere che la corruzione, piuttosto
che la collusione, come anche la semplificazione istituzionale si risolvano con
l’accorpamento di qualche provincia, l’annessione di qualche territorio e l’innalzamento
di responsabilità politiche su aree ancora più vaste. Senza considerare il
fatto, che così facendo si rischierebbe di “distaccare”
ulteriormente i cittadini dalla rappresentanza e quindi dal contatto “diretto” con le istituzioni.