Scritto da Simone Nardone |
Domenica 29 Settembre 2013 |
Passano gli anni, spesso cambiano gli attori, ma quel senso di “abbandono”dell’istituzione in Italia regna sovrano, e così ci si ritrova a commentare l’ennesima crisi di Governo.
E’ inutile cercare colpe, tra le pagine dei giornali che giocano ognuno a difendere gli interessi politici e personali di qualcuno o qualcosa. Quel che conta è che manca sempre più quella visione d’insieme. Il senso di collettività e di Bene Comune.L’interesse generale al posto di quello particolare.
Da una parte il centrodestra (fino a ieri governativo), schierato a difesa del non innalzamento delle tasse. “Noi siamo la sentinella anti-tasse del governo” tuonavano fino a qualche giorno fa. Dall’altra il centrosinistra (teoricamente ancor oggi governativo), con l’onere di garantire una governabilità –chissà fino a quale prezzo – e promettere riforme sistemiche in cui non crede neppure il sistema stesso. Già, perché che la barzelletta che il Pdl esce dal governo per il probabile aumento dell’Iva, rimane tale, perché dovranno spiegare ai propri elettori che così facendo non solo s’innalza l’Iva, ma addirittura si rischia il ritorno dell’Imu entro la fine dell’anno. Dall’altra, però, c’è un partito allo sbando alle prese con un teorico congresso che non è stato capace di realizzare nulla di ciò che aveva promesso, neppure mantenere il candidato premier.
In questa fanghiglia politica neppure i Cinque Stelle ne escono rafforzati. Scarsamente visibili politicamente e legislativamente. Allineati – e coperti – sotto il fuoco amico del leader Grillo, pronti a criticare ad alta voce una legge elettorale definita “vergognosa”, ma ben attenti dal tentare di cambiarla per non essere ridimensionati.
E adesso? Molti inneggiano alle urne (con il rischio dello sciopero dell’affluenza). Qualcuno alle larghe intese, altri ad uno tecnico i poveracci ad un colpo di stato. Fantasie politiche a parte, e iter parlamentari e istituzionali permettendo si cercherà di constatare in aula se non esiste una maggioranza. Poi o altro esecutivo con nuova maggioranza, o le urne (magari a inizio 2014).
Nel frattempo non ci resta che osservare come con la Prima Repubblica mandata in soffitta da tempo e la Seconda, teoricamente agli sgoccioli alla fin dei conti le buone usanze degli anni ’70 e ’80 è bene mantenerle, tipo quella dei governi balneari. La domanda successiva è un’altra: siamo pronti a iniziare la tradizione anche di quelli natalizi?
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domenica 29 settembre 2013
Ci risiamo
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Il suicidio della sinistra
www.26lettere.it
Scritto da Simone Nardone |
Venerdì 20 Settembre 2013 |
Un bellissimo libro edito da Garzanti del 2008 e a firma di Rodolfo Brancoli titolava:“Fine corsa. Le sinistre italiane dal governo al suicidio”.
Nel suo saggio, lo strettissimo e altrettanto poco noto collaboratore di Romano Prodi negli anni di Palazzo Chigi, raccontava l’ultima esperienza dell’esecutivo del professore (dal governo), fino alla caduta di esso, e alla bruciante ma inevitabile sconfitta elettorale del 2008 (al suicidio).
E’ sempre curioso riprendere un libro perché ti dà nelle mani la grandezza di un lavoro fatto in un tempo ben preciso. Pensate se Brancoli prendesse carta e penna e scrivesse il sequel, con ogni probabilità ne uscirebbe fuori un film horror. Perché il collaboratore di Prodi, nonché ex corrispondente di Corriere della Sera e Repubblica parlava di suicidio senza aver visto di cosa era capace l’intera sinistra, con Bersani capofila con la bandiera in mano a trainare tutti verso la lavanderia dei giaguari. Parlava di suicidio senza conoscere la più grande sconfitta politica nel vedere perdere un’elezione già vinta, rompere una coalizione, non essere capace di imporre un Capo dello Stato e soprattutto allearsi con il nemico storico “Berlusconi”.
Così dopo il suicidio c’è l’occultamento di cadavere. Di solito ciò avviene dopo un omicidio, ma siccome quegli strani individui della sinistra, quelli che i bambini non se li mangiavano ma che a furia di sentirselo dire quasi ci hanno creduto, non rendendosi conto del primo suicidio hanno pensato bene di proporsi per altre strategie davvero vincenti che essendo talmente geniali ci fanno essere l’unico grande paese dell’Europa occidentale a non aver visto a capo del governo un esponente politico proveniente dalla tradizione “socialista” o “post comunista”, (parentesi di D’Alema a parte che però non è stato eletto bensì subentrò a Prodi dopo il primo “suicidio” del ‘98).
Perché, Berlusconi a parte, adesso si ricomincia. E poco c’entra se i “giovani turchi” i “rottamatori renziani” o gli Unni di Attila puntino alla scalata del Pd e del centrosinistra, poiché checché se ne dica quell’area politica italiana è morta. E’ morta nella storia, orfana della figura insostituita di Enrico Berlinguer da una parte e di quella irricevibile di Craxi dall’altra. E’ morta, suicidata, uccisa o abbattuta, prima che da Prodi, da Veltroni da Mastella o dai vari attori politici della Seconda Repubblica, dalla caduta del muro di Berlino, quasi che il trasformismo dei partiti potesse mascherare il fallimento ideologico di un ideale.
Eppure, anche se nei detti popolari si afferma che “solo alla morte non c’è rimedio”, in politica c’è sempre l’opzione di resuscitare, cambiando probabilmente registro e attori, ed evitando, se è ancora possibile l’ennesimo inesorabile suicidio.
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Il giorno del giudizio
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Scritto da Simone Nardone |
Mercoledì 18 Settembre 2013 |
Ci siamo. Anzi, ci risiamo. Oggi (18 settembre), l’Italia si ferma, perché siamo di fronte all’ennesimo “giorno del giudizio”.
Questa sera alle ore 20,30 la giunta per le elezioni e le immunità del Senatosarà chiamata al primo voto sulla decadenza da Palazzo Madama di Silvio Berlusconi.
Il punto non è la questione politica, probabilmente importante, ma non di vitale importanza per i più. L’ennesimo giorno del giudizio ripropone uno dei nodi fondamentali che sono alla base dei problemi dell’Italia di oggi: la questione giustizia. Uno dei tre poteri fondamentali dello stato continua ad essere immerso nel caos immischiato nella non certezza della pena, che spesso frena anche gli investitori stranieri.
La domanda che più semplicemente verrebbe da porsi è: nel paese che istituisce processi mediatici per i furti al supermercato come per l’omicidio seriale, possibile che dopo tre gradi di giudizio abbia ancora bisogno di “giorni del giudizio”?
Qualcuno potrebbe sintetizzare che di fatto la sentenza in Cassazione è un qualcosa di definitivo e che ora si sta parlando di altro, e in effetti a norma di legge è proprio così. Però poi ci ritroviamo all’ennesimo “giorno del giudizio”, l’ennesimo ma non l’ultimo. Indipendentemente da quale sarà il voto stasera in giunta, infatti, ci dovrà essere comunque un’ulteriore voto in aula. Poi sarà la volta della Corte di Strasburgo e questa storia giudiziaria da una parte e politica dall’altra andrà avanti ancora per diverso tempo.
Evidentemente a noi italiani piace essere il paese che ha più anni di processo, gradi e giorni di giudizio che pene da scontare.
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11 Settembre
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Scritto da Simone Nardone |
Mercoledì 11 Settembre 2013 13:27 |
Nell’istantanea di quel primo pomeriggio di dodici anni fa, penso che mi manchi solo di ricordare come ero vestito, perché tutto il resto è vivo nella mia mente.
Era il giorno prima del rientro a scuola, e stavo in giro per la città con gli amici in scooter a godermi l’ultimo giorno di libertà dal dovere di alunno. Passando sotto casa di un’amica iniziò a girare una voce strana, ripetuta anche in qualche incontro successivo: “Hai visto, hanno buttato giù una torre gemella a New York. Non si capisce se con un missile o cose del genere”. Neppure un film di fantascienza ci avrebbe consentito di credere a tali affermazioni.
Solo il veloce rientro a casa mi consentì, appena aperta la porta di ingresso, di vedere attraverso l’occhio su Ground Zero delle televisioni mondiali cosa stava accadendo, e il secondo aereo di linea impattare contro la l’altra torre gemella.
Neppure un film era tanto reale, perché non era una pellicola a girare, bensì la vita di migliaia di persone. L’intero mondo guardava sconcertato il cuore di New York raso al suolo. Le emozioni erano un aggrovigliarsi di macabri interrogativi su quel che stava accadendo e la sensazione che la storia era ad un giro di boa. Solo una certezza aleggiava anche nelle ore successive all’attentato, che la vita, per chi quel giorno era lì, sarebbe cambiata per sempre.
In realtà, la vita è cambiata per sempre per tutti noi, e anche se i libri di storia hanno messo nero su bianco quello che è accaduto, lasciando comunque aperte rivisitazioni storiche, per la vicinanza temporale con l’accaduto, sta a noi, raccontare le emozioni, perché solo così si può non dimenticare l’attacco alle torri gemelle, che per molti è semplicemente l’11 settembre.
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Diritti sì, ma a quale prezzo?
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Scritto da Simone Nardone |
Martedì 04 Giugno 2013 15:41 |
“La storia non si ripete, probabilmente ha solo dei tragici punti in comune”. Con questa frase potremmo ricordare, riscoprire la storia del passato e parlare comunque del presente.
Era il 4 giugno del 1989, quando in piazza Tienanmen, studenti, intellettuali e operai cinesi protestavano contro il regime. Il simbolo della lotta alla tirannia, diventava quello che poi fu ribattezzato il “rivoltoso sconosciuto”, che disarmato, come viene ritratto in numerosissime foto che hanno fatto il giro del mondo, si schierava dinanzi ad una colonna di carri armati, pronti a sparare sulla folla.
Passano gli anni, ben quattordici, e della primavera democratica cinese, passiamo alla primavera turca. Altra storia, altra rivolta, altre vittime, e sempre lo stesso problema, lo stesso argomento di discussione: l’abuso di potere.
In un mondo sempre maggiormente globalizzato, spesso il concetto alto e puro di democrazia ha lasciato il posto a quello più efficiente e meno menzionato di “governo dei pochi” o dei potenti. Passata l’attenzione sulle oligarchie ideologizzate politicamente come era riconosciuta alla fine degli anni ’80 quella cinese, viene rilanciata l’accusa ai regimi di religione, con le primavere arabe che diventano spesso estati torride di fuoco e vittime. Il preludio per un brusco autunno democratico e un inverno in tema di rapporti internazionali.
E’ questo che negli ultimi giorni ha portato in piazza in Turchia migliaia di manifestanti, accusatori che il governo di Ankara vuole
“islamizzare” il paese.
A distanza di quattordici anni piazza Tienanmen e piazza Taksim sono lontane davvero di poco nella stessa cornice cromatica delle “fazioni” in campo. Da un lato, una parte del popolo, pronto a manifestare a qualsiasi costo per le libertà moderne e le speranze democratiche, dall’altra la forza dello stato che si manifesta attraverso il braccio armato dell’esercito ieri e della polizia di oggi, che “a qualsiasi costo” deve mantenere salda la situazione.
E mentre il web e le forze moderate, democratiche ed occidentali di tutto il mondo fanno pressione sui propri ministri degli esteri per chiedere posizioni forti contro le violenze di Istambul e non solo, gli uomini delle istituzioni, i giuristi di tutto il mondo si domandano dove finisce la libertà di manifestare e dove inizia quella di “reprimere” per garantire la coesione e la sicurezza, al solo prezzo non trattabile del rispetto dei diritti umani.
Mentre il mondo si interroga, la protesta continua, il sangue sgorga e le risposta non trovate in quattordici lunghi anni si spera vengano scovate ora, nell’unica certezza, che quella protesta che anni fa guardavamo da lontano, ora si è geograficamente, e se vogliamo anche culturalmente, avvicinata a noi.
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La storia lo giudicherà
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Scritto da Simone Nardone |
Martedì 07 Maggio 2013 |
Cinquant’anni di storia politica del nostro paese. In una frase è così che può essere sintetizzato Giulio Andreotti, e forse è come si sarebbe definito anche lui.
Belzebù, il divo, o zio Giulio, poco importa come veniva chiamato, vagamente diversa è la questione della sua fama. Una fama fatta di luci ed ombre. Di un processo per mafia chiuso con la prescrizione, di un uomo che è stato il bello e il cattivo tempo dal dopoguerra alla fine della Prima Repubblica. Non solo cinquant’anni di potere, perché i numeri sono davvero rilevanti, e sono quelli di7 volte Presidente del Consiglio, 19 volte ministro e sempre alto dirigente della Democrazia Cristiana.
Stimato e apprezzato all’estero, sempre amato e odiato in patria. 94 anni di vita in primo piano, nello scacchiere che conta. Bella una sua intervista di qualche anno fa, in cui spiegava che alle superiori i suoi voti non erano eccellenti, ma di come all’università aveva capito che per diventare qualcuno bisognava studiare.
Celebri, le sue citazioni, la più famosa sicuramente quella che rappresentava anche il suo cinismo politico e il senso dell’ultimo grande statista che il nostro panorama politico ci ha regalato: “Il potere logora chi non ce l’ha”. E di fatto, lui che di potere ne aveva avuto, non si era così logorato, non agli occhi del mondo. Le ombre sull’uccisione del giornalista Pecorelli, assassinato dalla mafia, con le ombre della lunga mano del politico centrista hanno tenuto banco per anni sulla cronaca giudiziaria nazionale. Ma il celebre Giulio non ha mai esitato a rispondere cosi: “Se dovessi morire tra un minuto, so che non sarei chiamato a rispondere né di Pecorelli, ne’ della mafia. Di altre cose sì, ma su questo ho le carte in regola”.
Le polemiche non si sono placate neppure nei secondi immediatamente successivi alla scomparsa dell’ex premier. I social network hanno ironizzato e demonizzato a tratti la figura di per sé abbastanza controversa del politico italiano, al Senato non si è riuscita neppure a fare la commemorazione, mentre in consiglio regionale in Lombardia, la scelta silenziosa dell’uscita dall’aula di Umberto Ambrosoli, figlio del celebre Giorgio, assassinato nel ’79, accusato dallo stesso Andreotti, di essere uno che “se le andava cercando”, sono una di quelle cose che ti lasciano nel dubbio non della grandezza ma dell’autorità delle istituzioni. Anche perché nel bene e nel male Andreotti era il potere.
Manzoni, diceva “ai posteri l’ardua sentenza”, “sarà la storia a giudicarlo”, ha invece detto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Forse, più semplicemente a caldo, potremmo constatare con semplice spirito di osservazione, che nella storia, Giulio Andreotti, già c’era prima dell’ultimo respiro. Diverso sarà il giudizio che essa gli riserverà. Più facile, agli occhi del grande pubblico, che tutto rimarrà coperto per sempre da luci ed ombre, così come è stata la carriera politica e la vita del “divo”, che come messo in evidenza nel film di Sorrentino, nell’89 formava quasi a sorpresa il suo ultimo governo e nel ’92 entrava a Montecitorio con l’elezione al Colle in tasca, uscendo con la più bruciante sconfitta politica, che di fatto ne segnava il declino.
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Una Favola italiana
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Scritto da Simone Nardone |
Lunedì 22 Aprile 2013 |
Non tutti gli italiani, in quell’istituzionalmente storico 20 aprile 2013 erano incollati dinanzi la tv a seguire il sesto e decisivo scrutinio per eleggere il Presidente della Repubblica.
Non tutti si trovavano in patria, molti anche quelli all’estero per motivi di vacanza o di lavoro. Tra questi Antonio, uomo di mezz’età si trovava a Boston, Usa, in vacanza a casa di John, amico di lunga data. Antonio, non è andato a votare lo scorso febbraio, alle elezioni politiche, ma è un tipo che ama sapere ed interessarsi e per questo, sabato, aveva “costretto” l’amico americano a cercare e a trovare lo streaming di Sky tg 24 per seguire passo passo il decisivo scrutinio per decretare chi fosse il nuovo inquilino del Colle.
Al primo servizio pre-spoglio, John, che di italiano ne mastica un po’ con fare insospettito inizia a porre quesiti ad Antonio: “Spiegami, ma chi è Marini? Perché al primo scrutinio era il favorito e poi non è stato più votato”. Sguardo di circospezione di Antonio, a caccia delle giuste parole “Allora, Marini era favorito perché i due principali partiti di destra e sinistra si erano messi d’accordo per votarlo, nella speranza di fare il governo insieme dopo”. “Ma se si erano messi d’accordo – chiedeva l’americano – perché non l’hanno votato?”. “Perché il partito di Marini, quello di sinistra, al momento del voto si è diviso tra chi voleva fare il governo con la destra e chi no, e quindi non l’hanno votato” rispondeva sicuro l’italiano. “Non fa una piega – proseguiva con l’analisi John che poi rilanciava – e poi Prodi, perché l’ex premier non l’hanno eletto?”. “Semplice – rispondeva Antonio – perché con Prodi si sarebbero perse le possibilità di fare un governo destra e sinistra insieme, quindi Belusconi non l’ha votato e anche nel partito suo in molti che avevano detto che lo votavano non l’hanno fatto”. “Semplice…facile…no adesso non capisco – con fare interdetto replicava John – Marini non andava bene perché il partito non voleva l’alleanza con la destra, Prodi non andava bene perché non voleva l’alleanza con la destra?” “Esatto” sperava di concludere sicuro Antonio. “Scusa, e Rodotà allora? Chi lo vota?” incuriosito incalzava l’americano. “Rodotà - spiegava sicuro Antonio - è il candidato di Grillo, che prima faceva il comico e ora fa politica. Ma Rodotà non è un comico, anzi è un illustre giurista, è stato anche parlamentare e presidente di uno dei partiti storici della sinistra che poi hanno dato vita al principale partito di sinistra di oggi, il Pd”. “Ah…e scusa, se Rodotà è di sinistra perché la sinistra non lo vota”. “Mah, perché una parte della sinistra moderna non lo vuole e non troverebbe di certo i voti nella destra che non vota gli ex comunisti”. “Diciamo che adesso è più chiaro, anche se un po’ strano”sottolineava John poco prima dello spoglio.
Poi la Boldrini inizia: “Napolitano, Giorgio Napolitano, G. Napolitano. Napolitano Giorgio”. Fino all’applauso del 504° voto. Ultim’ora in sovr’impressione parla chiaro: “Storica rielezione: Napolitano Presidente”.
Breve identikit, il servizio del rinnovo del settennato e John esterrefatto si gira verso Antonio chiedendo: “Fammi capire: ma avete rieletto uno di 87 anni che dovrebbe rimanere in carica per altri 7 ani, che tutti criticavano fino a due settimane fa per come stava gestendo la crisi? E soprattutto, Napolitano non era Comunista? Come ha fatto ad essere eletto con i voti della destra? E perché l’altro partito della sinistra non l’ha votato?” “Ehi John calma, so che può sembrar strano – pacatamente rispondeva Antonio poggiando una mano sulla spalla dell’amico – ma in Italia questo e molto altro può anche succedere e solo gli italiani capiscono come tutto questo in Italia possa realmente accadere”.
Questo e molto altro, invece, è quello che possiamo solo immaginare anche se non è accaduto, perché vivere di verità inspiegate e di storie non raccontate è la favola della politica nostrana.
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