Scritto da Simone Nardone |
Martedì 04 Giugno 2013 15:41 |
“La storia non si ripete, probabilmente ha solo dei tragici punti in comune”. Con questa frase potremmo ricordare, riscoprire la storia del passato e parlare comunque del presente.
Era il 4 giugno del 1989, quando in piazza Tienanmen, studenti, intellettuali e operai cinesi protestavano contro il regime. Il simbolo della lotta alla tirannia, diventava quello che poi fu ribattezzato il “rivoltoso sconosciuto”, che disarmato, come viene ritratto in numerosissime foto che hanno fatto il giro del mondo, si schierava dinanzi ad una colonna di carri armati, pronti a sparare sulla folla.
Passano gli anni, ben quattordici, e della primavera democratica cinese, passiamo alla primavera turca. Altra storia, altra rivolta, altre vittime, e sempre lo stesso problema, lo stesso argomento di discussione: l’abuso di potere.
In un mondo sempre maggiormente globalizzato, spesso il concetto alto e puro di democrazia ha lasciato il posto a quello più efficiente e meno menzionato di “governo dei pochi” o dei potenti. Passata l’attenzione sulle oligarchie ideologizzate politicamente come era riconosciuta alla fine degli anni ’80 quella cinese, viene rilanciata l’accusa ai regimi di religione, con le primavere arabe che diventano spesso estati torride di fuoco e vittime. Il preludio per un brusco autunno democratico e un inverno in tema di rapporti internazionali.
E’ questo che negli ultimi giorni ha portato in piazza in Turchia migliaia di manifestanti, accusatori che il governo di Ankara vuole
“islamizzare” il paese.
A distanza di quattordici anni piazza Tienanmen e piazza Taksim sono lontane davvero di poco nella stessa cornice cromatica delle “fazioni” in campo. Da un lato, una parte del popolo, pronto a manifestare a qualsiasi costo per le libertà moderne e le speranze democratiche, dall’altra la forza dello stato che si manifesta attraverso il braccio armato dell’esercito ieri e della polizia di oggi, che “a qualsiasi costo” deve mantenere salda la situazione.
E mentre il web e le forze moderate, democratiche ed occidentali di tutto il mondo fanno pressione sui propri ministri degli esteri per chiedere posizioni forti contro le violenze di Istambul e non solo, gli uomini delle istituzioni, i giuristi di tutto il mondo si domandano dove finisce la libertà di manifestare e dove inizia quella di “reprimere” per garantire la coesione e la sicurezza, al solo prezzo non trattabile del rispetto dei diritti umani.
Mentre il mondo si interroga, la protesta continua, il sangue sgorga e le risposta non trovate in quattordici lunghi anni si spera vengano scovate ora, nell’unica certezza, che quella protesta che anni fa guardavamo da lontano, ora si è geograficamente, e se vogliamo anche culturalmente, avvicinata a noi.
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domenica 29 settembre 2013
Diritti sì, ma a quale prezzo?
Pubblicato su www.26lettere.it
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