Avvenire - Lazio Sette
L’epoca del Covid-19 verrà sicuramente ricordata come un tempo di grandi
sfide. Sfide che oggi si pongono dinanzi a noi singolarmente e come comunità e
che solo al termine di questo periodo, riusciremo a comprendere se saranno
state affrontate adeguatamente o meno. Tra queste, c’è sicuramente quella di
ridare dignità e garanzie a persone che spesso vengono semplicemente
considerati con il termine di “immigrati”. In questo la Chiesa sta chiedendo
passi importanti alle istituzioni. Anche l’Arcidiocesi di Gaeta e Libera Sud
Pontino presidio don Cesare Boschin, sostengono la proposta di regolarizzazione
degli immigrati che lavorano nel nostro Paese aiutando le nostre famiglie,
raccogliendo i prodotti della terra e, più in generale, contribuendo al
benessere di noi tutti. <La proposta – si legge nella nota – non riguarda
solo il tema del lavoro, ma va sostenuta innanzitutto in nome del principio di
umanità sancito dalla Costituzione italiana che, all’articolo 2, afferma: <La
Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo>. La
regolarizzazione, infatti, è necessaria anche per questioni di sicurezza
sanitaria. L’occasione del poter garantire la sicurezza anche in ambito
sanitario potrebbe essere l’opportunità per ridare dignità a coloro che non ce
l’hanno neppure in ambito lavorativo. Una garanzia che apparentemente riguarda
“loro”, quelli che spesso consideriamo “ultimi”, dimenticando che sono nostri
fratelli, e non figli di un dio minore.
Va ricordato, infatti, che ce lo impone
la nostra fede nel Vangelo: <Beati i poveri, beati quelli che hanno fame e
sete della giustizia, beati i misericordiosi, beati i perseguitati a causa
della giustizia> (cfr. Mt 5,3-12). <Nell’esperienza della pandemia –
spiegano l’Arcidiocesi e Libera – abbiamo compreso come non ci siano confini o
steccati che possono ostacolare il percorso dei virus, siamo tutti nella stessa
tempesta>. Inutile ricordare le parole di papa Francesco del 27 marzo
scorso, quando riguardo la situazione emergenziale che stiamo vivendo, ha
ricordato come siamo <sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma
nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme,
tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca ci siamo tutti>.
Gli
immigrati non regolari in Italia sono troppo spesso sfruttati, marginalizzati e
spinti a diventare manovalanza per gruppi criminali per poter sopravvivere. <A
partire dai più fragili e vulnerabili – proseguono nella nota – vogliamo remare
insieme, chiedendo la regolarizzazione per contribuire a costruire insieme una
società basata sulla giustizia e sul rispetto della dignità di ogni singola
persona. Le aperture di questi giorni circa l’ipotesi di regolarizzazione sono
incoraggianti, Pertanto – concludono – chiediamo che la regolarizzazione
temporanea di immigrati, possa tradursi in un permesso di soggiorno che dia
loro la possibilità di risiedere legittimamente e stabilmente nel Paese>.