Abbiamo visto cosa ha combinato il Porcellum, tutti abbiamo conosciuto i limiti del Mattarellum e adesso ci domandiamo cosa accadrà con l’Italicum.
Nel mio libro “Dal Porcellum alla Terza Repubblica” (Streetlib 2015) viene affrontata un’accurata analisi storico-politico-elettorale su ciò che il sistema elettorale del 2005 ha prodotto, influenzando comportamento degli elettori, strategie dei partiti e composizione delle maggioranze parlamentari. Ma cosa accadrà con l’Italicum? Quali sono i dubbi di applicabilità al sistema politico e partitico italiano?
Primo dato: il sistema elettorale che vede come genitori politici il premier Matteo Renzi e il Ministro per le Riforme Maria Elena Boschi produrrà una maggioranza elettorale, sicuramente solo sulla carta. Mi spiego. Il sistema elettorale che, per i meno informati, nient’altro è che un meccanismo che trasforma in seggi i voti degli elettori, produrrà una maggioranza, attraverso l’attribuzione di un premio che verrà assegnato (o al primo o al secondo turno) alla lista che vince. Una maggioranza stabile, il 55% dei seggi alla Camera, che non dovrà controbilanciare una presunta maggioranza più esigua in Senato, in quanto questo, non dovrebbe essere più elettivo.
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Non è detto, però, che questa maggioranza numerica sia anche politica. Il fatto che a competere non siano più coalizioni, bensì singole liste (presumibilmente partiti), implica che si andrà verso un riaggregarsi attorno ai soggetti più grandi. Fuori teoricamente dovrebbero rimanere coloro che sono forti sia di un’identità politica che di una rappresentanza elettorale, che dunque puntano a superare lo sbarramento del 3%. Il rischio molto forte è che la voglia di concorrere per vincere e non solo per partecipare, spinga soggetti politici presumibilmente affini a presentarsi sotto lo stesso simbolo, in un così detto cartello elettorale, o come viene ultimamente definito dai media il “listone”. Una formula che potrebbe paradossalmente consentire ad una coalizione camuffata di provare a vincere, magari mettendo in evidenza all’indomani del voto che quella forza elettorale non è anche politica, e che il listone si frantumi al momento dell’ingresso in Parlamento, riproducendo la formazione di più gruppi che si identificano con partiti e partitini che lo compongono.
Non è detto, però, che questa maggioranza numerica sia anche politica. Il fatto che a competere non siano più coalizioni, bensì singole liste (presumibilmente partiti), implica che si andrà verso un riaggregarsi attorno ai soggetti più grandi. Fuori teoricamente dovrebbero rimanere coloro che sono forti sia di un’identità politica che di una rappresentanza elettorale, che dunque puntano a superare lo sbarramento del 3%. Il rischio molto forte è che la voglia di concorrere per vincere e non solo per partecipare, spinga soggetti politici presumibilmente affini a presentarsi sotto lo stesso simbolo, in un così detto cartello elettorale, o come viene ultimamente definito dai media il “listone”. Una formula che potrebbe paradossalmente consentire ad una coalizione camuffata di provare a vincere, magari mettendo in evidenza all’indomani del voto che quella forza elettorale non è anche politica, e che il listone si frantumi al momento dell’ingresso in Parlamento, riproducendo la formazione di più gruppi che si identificano con partiti e partitini che lo compongono.
Ma questo non è il più grande dubbio che porta con se l’Italicum. Perché se da un lato abbiamo detto che si possono creare dei cartelli elettorali per superare il limite del premio di maggioranza di lista (che curiosità vuole che non prevede la possibilità di apparentarsi neppure al secondo turno), dall’altro c’è il rischio enorme che la riforma elettorale acceleri un eventuale nuovo riassetto dei partiti nell’emiciclo. Un nuovo cambio di pelle, di forma, di simboli e di nomi che regole così incisive per la rappresentanza potrebbero portare i leader dei partiti ad individuare nel nuovo cambio di rotta, cercando la strategia giusta per vincere le elezioni. Un’eventualità che, seppur più remota rispetto al primo dato appena commentato, potrebbe ulteriormente preoccupare i tecnici ma soprattutto il corpo elettorale, sempre meno rappresentato da partiti che individua come propri rappresentanti e sempre più forti della forza dei leader che ne determinano il buono e il cattivo tempo.
Terzo ed ultimo dato a preoccupare è proprio collegato alla questione dei leader dei partiti. Dalla fine della Prima Repubblica, infatti, dopo la disgregazione dei soggetti politici che avevano caratterizzato quarantacinque anni di vita politica e il cambio delle regole della rappresentanza avevano dato un potere ai propri segretari e presidenti di partito, che di fatto iniziarono ad indicare a priori chi aveva il ruolo di guidare un governo. Un’indicazione tanto mediatica quanto legislativa. Una strategia per aggirare le prerogative di ogni sistema parlamentare che prevede che sia il Presidente della Repubblica a nominare il capo del governo. Prerogativa costantemente in declino da poco più di un ventennio, che ha visto sistemi elettorali e forze politiche issare leader al di sopra del dettato costituzionale, rendendo le consultazioni con la più alta carica dello stato all’indomani del voto, una mera formalità, tranne nel caso specifico del 2013 vista la non formazione di una maggioranza in entrambi i rami del Parlamento. Ma anche questo sarà superato, perché il nuovo sistema elettorale è previsto solo per la Camera, con il disegno di revisione costituzionale che prevede la fine del bicameralismo paritario così come lo conosciamo noi oggi.