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lunedì 22 gennaio 2024
VEDI FIRENZE E POI (QUASI) MUORI
Se non vado errato, era ancora inverno, o al massimo l’inizio della primavera del 1817, e quel dì nella chiesa di Santa Croce a Firenze c’ero anche io.
Era un giorno come tanti, in cui, nella città dei Medici e del sommo poeta, passavano commercianti, illuminati artisti e semplici uomini di cultura. Il turismo non era di massa come oggi, ma fidatevi, già c’era.
Io ero entusiasta, già da fuori la piazza che ancora non conosceva neppure la statua dedicata a Dante. Ma quel posto, quella città, quella chiesa sono luoghi che se non vivi non comprendi, se non calpesti non puoi sentirti parte della storia incredibile di quella piccola porzione di mondo, del Rinascimento d’Italia.
Ricordo che osservavo un signore, tra le illustri sepolture di quel tempio non solo religioso, quando ad un tratto udii un rumore sordo. Quell’uomo che poco prima avevo visto osservare con fare sbigottito era a terra, svenuto. Temetti, come altri dei presenti, che dovessimo trovare un posto in quella chiesa anche per lui, ma di lì a poco fortunatamente si riprese.
Era un francese, che nonostante il malessere, continuava a ripetere qualcosa per dire che era senza parole.
Non mi rendevo conto che stavo assistendo a qualcosa di unico: il suo fisico non reggeva alla potenza emotiva di quel luogo.
Seduto a terra sul freddo marmo di quel luogo immortale, sentiva le gambe molli il signor Marie-Henri Beyle, ma non per via del malessere, no. Le sentiva deboli perché in cuor suo sapeva che nonostante la sua fama, avrebbe avuto l’onore, indirettamente, di battezzare uno stato psicofisico, quello di cui lui stesso era stato inconsapevole protagonista: la sindrome di Stendhal.
Simone Nardone